Poche settimane fa l’editore “Le Lettere” di Firenze ha pubblicato il libro intitolato “L’altra Marilyn” con un sottotitolo “Psichiatria e psicoanalisi di un cold case”. Gli autori sono due: la psichiatra Liliana Dell’Osso e lo psichiatra e psicoterapeuta Riccardo Dalle Luche, entrambi formatisi a Pisa.
Questo libro è di notevole importanza, sia perché tratteggia la storia di una delle più celebri e ricordate dive di Hollywood e fu la prima in una situazione che poi si verificò per molti altri casi analoghi, e sia perché fa luce sui rapporti morbosi e psicopatologici in una serie di donne. Una psicopatologia che ha reso evidente una sindrome di fondo tra maschi e femmine anche se la loro sessualità non è psicologicamente disturbata; tuttavia è alla base d’un mondo per molti aspetti dominato da un maschilismo di fondo ed è questo il motivo che ha stimolato il mio interesse e spero anche quello dei nostri lettori.
Il libro si apre con un incontro-intervista che i due autori hanno tra loro, debitamente registrato, che occupa le prime trenta pagine del libro (268 pagine complessive) e che di fatto continua sotto forme analoghe nel testo fino alle considerazioni finali. Vediamo dunque che cosa ne risulta.
Anzitutto la storia di Marilyn. Nasce orfana di padre, che abbandonò la moglie dopo i primi amplessi che la misero incinta, e di quella madre che non potendo né volendo allevarla la affidò ad un orfanotrofio dopo averle dato il nome di Norma Jean, trovato insieme alle persone dell’orfanotrofio che di lei si sarebbero poi occupate.
Norma tentò più volte di fuggire, passarono alcuni anni e alla fine decise in piena libertà di andarsene ma priva di qualunque sostentamento. Fece alcuni mestieri servili ed ebbe incontri sessuali fuggevoli che peraltro le davano pochissimo soddisfacimento.
La Dell’Osso comincia con una diagnosi che esprime così: «schizofrenica paranoide marginale». Dalle Luche aggiunge a quella diagnosi la parola “dipendente” che così definisce: «Marilyn dipendeva dall’alcol, dai sedativi, dai suoi amanti o mariti del momento, dalle gratificazioni, dal successo e soprattutto dalla fama».
La verità psicologica che emerge dal libro riguarda alcune caratteristiche che rivelano aspetti finora ignorati. Per esempio che la sua femminilità era molto scarsa. Era divenuta la dea della femminilità, dopo Jean Harlow era lei la nuova “bomba del sesso” e così la vedevano gli uomini che l’hanno frequentata e vagheggiata; invece quel requisito non l’aveva affatto, o meglio era lei che non lo sentiva. Aveva tutti gli uomini che voleva, ma li voleva socialmente importanti. Tra di essi lo scrittore Arthur Miller, gli attori e cantanti Frank Sinatra e Yves Montand, John e Bob Kennedy, ma la sua apparente femminilità era talmente debole che lei temeva d’essere tendenzialmente lesbica.
Era molto ambiziosa ed anche perfezionista. Il suo analista, conoscendo a fondo la sua vita fisica e psicologica, era piuttosto impietoso nel descriverla. Secondo la sua testimonianza, «voleva essere una vera attrice ma non lo era; voleva essere smisuratamente amata, adorata da uomini importanti che di fatto amavano soltanto se stessi perché tutti si aspettavano da lei solo il ruolo di bionda svampita».
Qui c’è un esplicito accenno al narcisismo maschile che, soprattutto in quegli anni a metà del Novecento ma in realtà per tutto il XX secolo è stata una delle caratteristiche maschili più diffusa, quali che fossero il reddito, la nazione di appartenenza, la religione e la condizione sociale. Il maschio dominava e voleva dominare. La donna nutriva anch’essa quel desiderio e se poteva utilizzava le sue attrazioni fisiche per soddisfarlo. Cercava anche nell’uomo un’attenzione non occasionale ma permanente, che alimentava con fughe eventuali e gelosie verso altri concorrenti.
Ebbene, Marilyn fu il prototipo di quel tipo di donna. A me non pare che recitasse male. Vidi a suo tempo quasi tutti i suoi film, alcuni dei quali degni d’una grande attrice. Ne cito tra i molti “Gli uomini preferiscono le bionde” e “A qualcuno piace caldo”, a mio avviso tra i migliori del cinema hollywoodiano.
Lei però, nonostante i suoi successi cinematografici ed anche amorosi, fu anche molto infelice. Non aveva voluto avere figli proprio perché avrebbero inevitabilmente limitato gli altri aspetti della sua vita, ma quella mancanza spiega anche la continua presenza in lei della malinconia. Era molto malinconica Marilyn e lo si vide soprattutto negli ultimi mesi della sua vita, quasi che l’ala della morte fosse sempre più presente. Nella sua storia uno dei momenti centrali avviene quando alla riunione che festeggiava il compleanno di John Kennedy lei arrivò non invitata, si presentò al microfono e intonò con una voce molto particolare la canzone di rito “Happy Birthday, Mr. President”. Era il 19 maggio del 1962. Morì il 5 agosto di quello stesso anno.